Testimoni di Geova e dottrine
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IL NOME DI DIO NEL NUOVO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 07/12/2009 15:25
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07/12/2009 15:25

Introduzione

Il lettore della Bibbia talvolta è confuso da una constatazione imbarazzante: il Vecchio Testamento è molto differente dal Nuovo. Il primo racconta delle tumultuose relazioni tra YHWH e un popolo che egli ha eletto a discapito di tutti gli altri, popolo “dal collo duro”, le cui peregrinazioni caotiche non sono certo un motivo di vanto. E’ il racconto di spietate guerre incessanti, di conquiste, di stermini. Le bassezze dei re si susseguono alla narrazione dei massacri. Alla fin fine questa nazione, tranne che per la rivelazione del Dio Uno e l’alleanza che ha contratto con Lui, fa una ben misera figura. In seguito si stabilisce una nuova alleanza, il cui “resoconto” costituisce un Nuovo Testamento. Il Dio che vi è rappresentato non ha nome. Lo si chiama con il titolo di “Signore”. E’ un Padre benigno e pieno d’amore che ci rivela il Cristo. Ben differente, in apparenza, dalla divinità nazionale della Prima Alleanza, questo “Dio buono” dando la sua grazia a tutta l’umanità, è universale.

Nel secondo secolo della nostra era la constatazione di questa separazione era già fonte di confusione e di conflitti, come ne testimonia la celebre eresia di Marcione, secondo cui il Dio dell’Antico Testamento, divinità malvagia e inferiore, non poteva in nessun caso essere quello del Nuovo. Per gli ebrei d’oggi, la Bibbia è formata dalla Torah, dagli Scritti e dai Profeti: non ci sono dunque due divinità differenti, ma solo il Dio Uno, YHWH, dal nome impronunciabile. Per quanto riguarda i cristiani per molto tempo si sono adattati al Vecchio Testamento – con fatica, bisogna dirlo – leggendo solamente dei pezzi scelti, e utilizzando ogni sorta di messali che non contenevano che il Nuovo Testamento e i Salmi. Ai nostri giorni, se la lettura liturgica o quella personale ha compiuto un’evoluzione nel senso di un approccio più completo alle Scritture, questa sfocia invariabilmente in un latente imbarazzo.

Ciò nonostante si potrebbero superare questa difficoltà, perché la storia mostra che giudaismo e cristianesimo sono madre e figlia. Il loro legame è viscerale. Come dunque, in questa epoca di intolleranza e fanatismo, spiegare queste disparità? L’esistenza di una Bibbia ebraica, e di una Bibbia cristiana? Le differenze tra YHWH e “il Padre”?

Lo scopo di quest’opera è di mettere in risalto una delle spiegazioni della rottura tra giudei e cristiani. Una spiegazione fra le altre, certo, ma che a nostro avviso è così importante che da essa ne derivano tutte le altre. Si tratta della questione del nome divino e del suo trattamento nella Bibbia, in particolare nel Nuovo Testamento. Sovrabbondante nei testi dell’Antico Testamento – vi compare circa 7000 volte – scompare del tutto nel Nuovo Testamento (almeno dai manoscritti che ci sono pervenuti): Dio è designato dai sostantivi “Dio”, “Padre” o “Signore”. Il nome divino nella Bibbia ha sempre suscitato delle reazioni diverse e questo è molto indicativo. E’ incontestabile che questo nome appaia nel Vecchio Testamento: lo s’incontra, più che ogni altro nome, sotto le quattro lettere YHWH, in ebraico hvhy. Una superstizione giudaica (diventata tradizione) ha diffuso l’idea che questo Nome era “troppo sacro per essere pronunciato”, così come la vocalizzazione di questo Nome, da molto tempo, pone un problema e contribuisce alla ricerca di sostituti: Eterno, Signore, YHWH o YHWH-Adonai compaiono spesso al posto del glorioso nome divino.

Nel Nuovo Testamento, dunque, Dio viene chiamato frequentemente ku,rioj (Kyrios), Signore. Perché non lo si chiama più con il suo nome hvhy ? Il Nome è imbarazzante o è lo spirito di un universalismo sincretico che lo suggerisce? E’ tanto più curioso che nella Bibbia, Dio afferma che il suo Nome deve durare di generazione in generazione, conservarsi all’infinito, essere proclamato fra tutte le nazioni. Se dunque il Dio degli Ebrei voleva che il suo nome fosse conosciuto in tutta la terra, perché non ha fatto in modo che esso fosse preservato, e questo a partire dalla sua vocalizzazione? Si potrebbe logicamente pensare che se questa vocalizzazione si è persa, semplicemente non è importante. E’ dunque opportuno oggi usare un nome ricostruito, e restituito almeno nel Vecchio Testamento dove esso compare incontestabilmente? Ecco le due domande che saranno alla base della nostra analisi.

Tuttavia noi concentreremo la nostra attenzione su un problema più delicato, che è quello del nome divino nelle Scritture greche cristiane, in risposta all’opera di Lynn Lundquist, The Tetragrammaton and the Christian Greek Scriptures.1 Come abbiamo accennato precedentemente, in effetti, nessun manoscritto del Nuovo Testamento riporta il tetragramma, nome proprio per eccellenza del Dio d’Israele. Tra rottura e continuità gli scritti neotestamentari lasciano dunque un sensazione strana per quel che riguarda la loro eredità: il nome sacro di Dio non è ripreso che sotto la forma ellenizzata di un titolo assai comune all’epoca, ku,rioj. Ora, il problema sorge dalla confusione nell’impiego di questo titolo. Ku,rioj può infatti indicare tanto YHWH che Gesù Cristo. Questo ha inevitabilmente generato una notevole confusione sull’identità di Gesù, che è stato assimilato, attraverso questo titolo comune di Signore, a Dio stesso… A nostro avviso questa confusione sull’identità di Cristo è direttamente legata alla presenza originale del tetragramma nel Nuovo Testamento.

Qui sosterremo la tesi che Gesù ed i suoi discepoli conoscevano ed impiegavano il Nome, e che gli scritti dei primi cristiani2 contenevano il tetragramma in caratteri ebraici. Fu soprattutto il diffondersi del messaggio evangelico alla Gentilità ellenistica che causò la perdita d’interesse per il Nome e, pertanto, la sua scomparsa totale nella trasmissione dei testi. Vedremo che questa “scomparsa” è nel caso specifico un termine ingannevole.

Il problema del nome divino nel Nuovo Testamento ha un insospettabile potenziale polemico. Ne saremo coscienti nel corso di tutta la nostra ricerca, non dimenticando mai che in un certo senso tocca l’essenza stessa del cristianesimo. Per di più questo soggetto necessita di conoscenze specifiche che sono spesso assenti o, comunque, confuse agli occhi del non specialista. Ora quello che è confuso finisce per diventare una mezza verità. Sarà dunque giudizioso soffermarci innanzi tutto sulle seguenti questioni:

- Innanzitutto accenneremo all’impiego del nome divino nei tempi biblici e al problema della sua vocalizzazione (nei capitoli 1 e 2), soggetti che non interessano direttamente la nostra problematica, ma che permettono che la sua trattazione si liberi di informazioni e di analisi approssimative sulle quali è impossibile costruire qualunque ragionamento. Inoltre, non rimettendo in questione la presenza del nome divino nel Vecchio Testamento, le polemiche che tuttavia circondano la sua vocalizzazione e restituzione nelle nostre traduzioni sono molto rivelatrici,

- In secondo luogo, ci serviremo della testimonianza della Settanta. Alcuni considerano questa testimonianza senza valore; altri, al contrario, la ritengono una prova, o quasi. Senza collocarsi in questi due estremi, analizzeremo dunque in cosa questa traduzione delle scritture ebraiche, che impiegavano i cristiani, ci illumina sul comportamento nei confronti del Nome, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento.

In effetti, il lettore impaziente che pensa di avere abbastanza dimestichezza con i risvolti del nome divino nella parte ebraica della Bibbia può recarsi direttamente al capitolo 4, perché è in questo capitolo che inizieremo a raccogliere gli indizi del suo uso all’epoca di Gesù e dei suoi discepoli. Il capitolo seguente risponderà alla domanda che sorge naturalmente all’esame degli indizi: se Gesù ed i suoi discepoli hanno veramente impiegato il Nome, per quale ragione non appare nel testo del Nuovo Testamento?

Rispondere precisamente a questa domanda richiede di esaminare le condizioni di trasmissione di questo testo. In generale, il credente pensa che il testo che egli scopre nella sua versione biblica è assolutamente degno di fiducia, per la buona ragione che questa Parola è considerata come “ispirata”. Ma è, anche questa, una mezza verità, che ignora quali epoche turbolente ha attraversato il testo che ha sotto gli occhi (capitolo 6) dato che i primi due secoli della nostra era sono disseminati di avvenimenti uno più grave dell’altro: la rovina di Gerusalemme nel 70, le persecuzioni dei cristiani, demarcazione e poi rottura del cristianesimo dal giudaismo, seconda rivolta giudaica e seconda rovina di Gerusalemme… non sono che alcuni dei trascorsi di questo periodo agitato. Senza parlare delle controversie cristologiche che apparvero da che il messaggio evangelico uscì dalla Palestina (capitolo 7). E’ il rendersi conto di questo contesto che permette di collocare il problema del nome divino in seno alle Scritture greche cristiane nella sua corretta prospettiva. In quel periodo, il cristianesimo si definiva, allo stesso tempo, con una contraddizione interna ed un’apertura all’esterno. La proclamazione orale si fissa per iscritto. Un canone si costituisce. Le eresie sono smascherate. Un sentimento ortodosso si forma e il movimento esce dalla sua culla. Si proietta nell’oikouménè.3 Cambia di capitale. Cambia Dio?

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1 Word Resources, Inc, 1998, 2 ed. La nostra risposta non tratterà tuttavia punto per punto gli argomenti di Lundquist, poiché sono poco numerosi ed essenzialmente attaccano la Traduzione del Nuovo Mondo facendo disinformazione circa il suo comitato di traduzione (cfr. Stafford: 1-54, Mazzaferro, The Lord and the Tetragrammaton…). Il nostro obiettivo non è polemico quanto fornire la presentazione (in nessun caso, la soluzione) del problema al pubblico italiano.

2 In quest’opera i primi cristiani sono indifferentemente chiamati “giudeo-cristiani” o “ebrei cristiani”. La nozione di “giudeo-cristianesimo” indica una realtà di un’incredibile diversità che ha originato numerosi studi a volte contradditori. Da qui si impone questa precisazione terminologica: senza voler descrivere né risolvere questa nozione intenderemo per “giudeo-cristiani” gli immediati discepoli di Gesù, ed i primi Ebrei converti fino al 70. Per “pagano-cristiani” intenderemo invece i discepoli di Gesù non Ebrei.

3 “La terra abitata”.
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[SM=g8050][SM=g8050][SM=g8050][SM=g8050][SM=g8050]
Partirono in due ed erano abbastanza
Un pianoforte e una chitarra e molta fantasia...
E bomba o non bomba, noi, arriveremo a Roma malgrado voi. (A. Venditti)
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