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Genocidio in Ruanda: l’odio razziale non riconosce la dignità di essere uomo

Ultimo Aggiornamento: 01/03/2010 19:17
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01/03/2010 19:17


Genocidio in Ruanda: l’odio razziale non riconosce la dignità di essere uomo

di Rosaria Di Prata - Mar 1st, 2010 Categoria Esteri, Ultimissime.

800px-kigali_orphans Gli episodi più violenti della storia sono ricordati affinché l’uomo non si macchi più di simili orrori, ma purtroppo non sembra essere sufficiente. Oggi si celebra la Giornata Mondiale contro il Razzismo e non possiamo non annoverare una vicenda sanguinosa che avvenne nel XX secolo: il genocidio in Ruanda. In 100 giorni furono massacrate a colpi di machete e di armi da fuoco circa 1 milione di persone. Le vittime furono i Tutsi, una minoranza rispetto agli Hutu, ai quali facevano capo gli Interahamwe e gli Impuzamugambi, due gruppi paramilitari. L’origine della divisione etnica in Ruanda è da attribuire alla colonizzazione europea qui messa in atto dalla Germania e dal Belgio; furono questi ultimi a classificare i ruandesi in funzione dello status sociale e delle loro caratteristiche somatiche. Alla base di questo stava una solida convinzione razzista che giunse a teorizzare che i Tutsi, che vantavano la fascia aristocratica nel Paese, fossero diversi dagli Huti, che si occupavano dei lavori agricoli.

A metà degli anni Cinquanta, i missionari e i Belgi avevano capito che la nazione desiderava avere l’indipendenza: si verificò allora un radicale cambiamento, la maggioranza Hutu avrebbe assunto il potere. Il movimento per l’emancipazione degli Hutu abbatté la monarchia e proclamò la repubblica. In questi scontri molte persone persero la vita e furono costrette a rifugiarsi negli Stati limitrofi. Nel 1961 fu nominato presidente Kayibanda, che restò in carica fino al 1973, anno in cui si scatenarono di nuovo i massacri, questa volta furono il pretesto per un putsch, e il potere finì nelle mani degli Hutu. Diciasette anni di dittatura avevano compromesso seriamente il Paese e i ribelli del fronte patriottico ruandese colsero il momento per rovesciare il regime. Nel 1991 iniziarono a nascere vari partiti, ma la tecnica per assumere il potere era sempre l’intimidazione e l’eliminazione fisica dell’avversario. Nel 1993, dopo due anni di guerre civili, intervenne la forza militare e fu firmato un accordo di pace che vedeva la presenza dei FPR nel governo. Il potere di Habyarimana vacillava, il 6 aprile il Presidente fu ucciso e si scatenò quello che è stato definito un ‘genocidio’. Il massacro fu pianificato dagli Hutu e dai Tutsi appartenenti all’opposizione: donne, uomini, bambini vennero uccisi brutalmente, violentati, costretti a morire senza avere alcuna colpa.

L’odio razziale ha fomentato questa tragedia immane che ha lasciato un segno visibile in Ruanda, un bagno di sangue che non ha risparmiato nessuna vita innocente, mentre gli occhi del mondo erano puntati sull’elezione di Mandela e la fine dell’apartheid in Sud Africa. Molti responsabili di questa strage hanno trovato rifugio negli Stati vicini, sottraendosi alla giustizia. Il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, giudicando i maggiori responsabili del genocidio, si rese conto che oltre ai feroci omicidi di massa, fu perpetrata anche una sistematica violenza sessuale. Un rapporto delle Nazioni Unite ha confermato che 250 mila ruandesi furono stuprate con violenze accompagnata da torture fisiche eseguite in pubblico per aumentare il terrore. In alcuni casi, alle donne violentate non veniva tolta la vita perché intanto l’alta diffusione dell’AIDS le condannava a una dolorosa agonia.

I Tutsi sopravvissuti furono 300 mila, 400 mila bambini restarono orfani, migliaia furono le donne vittime di stupro ad oggi sieropositive. In questa nazione africana ricca di bellezze naturali, dove i parchi naturali, i laghi e i vulcani offrono un fantastico panorama, morte e disperazione hanno sconvolto inesorabilmente la vita della popolazione locale. Il razzismo è un odio che porta a compiere massacri di cui l’umanità deve vergognarsi, è importante conoscere la storia e ricordare quanti hanno brutalmente perso la vita per mano di uomini senza scrupoli, accecati spesso dal potere, capaci di uccidere ed eliminare un proprio simile perché considerato ‘diverso’ per via di assurde concezioni. Non lasciamo che queste morti innocenti, vittime di razzismo, siano dimenticate, ma raccontiamo la storia perché l’uomo possa capire e aprirsi alla strada del dialogo anche nelle situazioni più difficili.

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L'umorismo è la cintura di salvataggio nel fiume della vita.(Wilhelm Raab)


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